Sul versante nordico dell’Aspromonte, da un terrazzo elevato intorno a 720 m. sul livello del mare, Piminoro (dal Greco: monte dei pastori), domina l’immensa conca verde della piana di Gioia Tauro. E’ circondato da un denso bosco di faggi, elci e castagni , il terreno rosso su cui sorge è ricco di humus, quindi ottimo per la coltivazione.
La fondazione di Piminoro, per logica, è avvenuta intorno al 1790 per opera del Vescovo Alessandro Tommasini, quando in seguito all’avvento della malaria, che colpì Oppido Mamertina (Sede Vescovile), il Vescovo si trasferì lassù per la constatazione che le poche persone che già abitavano quel luogo erano immuni da febbri malariche.
Il primo nucleo del futuro Piminoro era costituito da carbonari di Serra San Bruno, in seguito, dietro semplice richiamo di tali carbonari, famiglie isolate di pastori e contadini affluirono daSerra S.Bruno, Fabrizia, Mongiana e altri villaggi limitrofi, stabilendosi sullo sperone Piminorese. Parlavano, come tuttora, un curioso, tipico e originale linguaggio, con una cadenza simile a quello della provincia di Catanzaro.
I montanari , vestivano d’abraso, ossia di un tessuto di lana grezza ruvida e molto pesante , portavano le “Calandrelle”, consistenti in un pezzo di pelle di mucca di forma rettangolare, che veniva cucita in punta e lasciata aperta al tallone, ai bordi superiori si inserivano delle strisce di pelle che si incrociavano ripetutamente fin sopra alla gamba. I pantaloni erano corti e indossavano calzettoni di lana grezza nera, che dalle calandrelle andavano fin sopra il ginocchio, coprivano il capo con un berretto di colore azzurro di cascame di seta e sotto il petto portavano una larga cintura di cuoio dove appendevano una grossa e pesante scure.
Percorrendo la strada che porta a Piminoro, non si può fare a meno di notare l�abitato. Tra la distesa delle casupole basse che si confondono con la terra stessa, spicca la mole biancastra della chiesetta, finita di costruire nel 1948. Un particolare insolito richiama l’attenzione, tutti i tetti sonodisseminati da grossi macigni, si tratta dell’unico rimedio escogitato dai Piminoresi per salvare i tetti delle loro case dal vento di Levante. Il vento di Levante rappresentava, e tuttora rappresenta l’incarnazione di Satana, quando esso soffia, a Piminoro bisogna stare chiusi in casa. Dentro si stava con l’amaro in bocca pensando agli ortaggi, e al grano che venivano sradicati nei terrazzi, frustando il lavoro di mesi interi e togliendo il pane di bocca alla famiglia.
Nonostante i segni evidenti dell’azione dell’uomo, chi fa da protagonista E’ ancora la natura e la gente in questo Paradiso naturale, vive con la melodia di limpide acque scorrenti.